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giovedì 18 febbraio 2016

Il fondamento divino della continuità materiale

Abbé Bernard Lucien: «Permanenza materiale della gerarchia»

Nota: Si riporta in traduzione il capitolo X del volume dell'allora Abbé Lucien La situation actuelle de l'autorité dans l'Église. La Thése de Cassiciacum, 1985, pp. 97-103.

Capitolo X
Permanenza materiale della gerarchia

Lo studio dei differenti argomenti avanzati allo scopo di provare l’eresia formale dell’occupante della Sede apostolica, ci ha mostrato come nessuno fosse decisivo (cap. VI-IX). Abbiamo così confermato il risultato della nostra indagine positiva (cap. I-V): l’occupante della Sede apostolica non possiede più l’Autorità pontificia dal 7 dicembre 1965, pur rimanendo papa materialmente.

Ci restano da esaminare le difficoltà riguardanti direttamente la validità dell’elezione (cf. supra p. 55). E abbiamo da considerare da una parte l’elezione di Paolo VI (quindi prima della situazione attuale della Chiesa, caratterizzata dall’assenza di Autorità), dall’altra parte quella dei suoi successori (tenuto conto della privazione di Autorità che subisce la Chiesa militante). Questo secondo studio tratterrà tutta la nostra attenzione, e ci condurrà ad ampliare e stabilizzare la nostra visione d’insieme dello stato attuale della Chiesa.


In ciò che riguarda il primo punto, qualche persona ha sostenuto l’invalidità dell’elezione di Paolo VI perché il conclave contava allora più di 70 cardinali, contrariamente alle clausole di Sisto V (Const. Postquam versus, 3 dicembre 1586). Checché ne sia di un esame dettagliato di questo documento, che solleva è vero certe difficoltà, è possibile concludere con certezza nel merito. È infatti fuor di dubbio che il numero di cardinali dipende dal diritto ecclesiastico, e non del Deposito rivelato. Ragion per cui, un Papa non può vincolare in maniera assoluta i suoi successori in questa materia. L’obiezione contro la validità dell’elezione di Paolo VI è quindi speciosa e senza portata.

***

L’elezione dei successori di Paolo VI, in compenso, solleva una questione reale che conviene esaminare.
Come possono coloro che non hanno più formalmente Autorità nella Chiesa (Paolo VI e i cardinali che lo riconoscono) porre degli atti che abbiano una portata nella Chiesa (l’elezione del successore, la determinazione eventuale delle modalità di questa elezione)?

Per comprenderlo, dobbiamo inquadrare in maniera precisa, in una visione d’insieme della Chiesa militante, i risultati della nostra dimostrazione (cap. I-V).

Quale fu l’intenzione primaria ed essenziale di Cristo fondando la sua Chiesa? Che questa proseguisse la sua Missione. Leone XIII lo ricorda nell’enciclica Satis Cognitum (125):

«Cosa ha cercato, cosa ha voluto Gesù Cristo Nostro Signore nell’istituzione e conservazione della sua Chiesa? Questo: trasmettere alla Chiesa la continuazione della stessa missione, dello stesso mandato che lui stesso aveva ricevuto da suo Padre. È questo ciò che aveva decretato di fare, ed è ciò che ha realmente fatto. “Come mio Padre mi ha inviato, così io invio voi” (Gv XX, 21).»

La Chiesa militante comporta quindi fondamentalmente una MISSIONE. E, per l’essenziale, questa missione è quella stessa che aveva Cristo.

Questa missione di Cristo può ricapitolarsi in due componenti: la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

In primo luogo, la gloria di Dio:

«Io ti ho glorificato sulla terra, portando a buon fine l’opera che mi avevi affidata da fare» (126)

Questa glorificazione di Dio si caratterizza come sottomissione alla sua volontà, specialmente allo scopo di ristabilire il Sacrificio certamente gradito:

«Per cui, nella sua entrata nel mondo, il Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrifici né oblazioni, ma mi hai formato un corpo. Tu non hai gradito né olocausti, né vittime per il peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo, secondo ch’è scritto di me nel rotolo del libro, per fare la tua volontà.» (127)

Questa glorificazione di Dio comporta inoltre la testimonianza resa alla Verità:

«È per questo che sono nato, e che sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità.» (128)

Subordinata alla glorificazione di Dio, ma sempre essenzialmente, la Missione di Cristo comporta anche la salvezza degli uomini:

«Poiché Dio non ha inviato suo Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato ad opera di lui.» (129)

La Missione della Chiesa quindi, per l’essenziale, è questa: la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
È per il compimento di questa Missione sovrannaturale che Nostro Signore ha fondato la Chiesa, con le sue caratteristiche proprie, in particolare la sua gerarchia visibile.

Se quindi chiamiamo SESSIONE (Sessio=l’azione di sedersi, la sede) l’occupazione materiale delle Sedi gerarchiche, dobbiamo dire che la Chiesa comporta per natura, secondo l’istituzione divina, una sessione e una missione; inoltre, osserviamo che la sessione è ordinata essenzialmente alla missione.

È precisamente questa ordinazione della sessione alla missione che attualmente fa difetto nella Chiesa militante, a causa dell’assenza d’intenzione abituale nelle persone che occupano le Sedi gerarchiche. È ciò che abbiamo provato.

Ma il fatto che Cristo abbia voluto che la sua Chiesa durasse nel tempo come una società umana comporta che esista un altro rapporto, secondario e ontologicamente accidentale, tra la sessione e la missione.
La continuazione [la perduration] della Chiesa come società umana richiede infatti la trasmissione delle cariche: ciò che si compie mediante atti umani esteriori, pubblici, d’ordine giuridico. Poiché la Chiesa deve porre questi atti, in virtù della volontà di Cristo, essi fanno parte integrante della sua missione.
Da tutto ciò risulta che devono distinguersi due elementi nella missione della Chiesa militante. Da una parte, l’elemento fondamentale ed essenziale, d’ordine sovrannaturale: la gloria di Dio e la salvezza delle anime; dall’altra parte, un elemento secondario ed accidentale, d’ordine naturale: la perpetuazione [perpétuation] della sua struttura gerarchica visibile.
Da questo punto di vista secondario, il rapporto è invertito: la missione è per la sessione. E così, la funzione che nella Chiesa corrisponde a questo aspetto secondario della Missione è specificata naturalmente, avendo un oggetto di ordine naturale.
Questa funzione quindi, e gli atti che raggruppa (elezione, determinazione delle modalità delle elezioni…), non dipende formalmente dall’Autorità propria della Chiesa, Autorità costituita dall’essere con di Cristo.
È questa Autorità che è ordinata alla Missione secondo il suo aspetto essenziale, sovrannaturale; ciò, secondo le tre funzioni d’insegnare, di comunicare la grazia mediante dei sacramenti sicuramente validi, e d’educare le anime alla pratica dei comandamenti e dei consigli divini (130).

I due rapporti tra Sessione e Missione sono, lo abbiamo appena visto, d’ordine inverso, e diversamente specificati; sono quindi realmente distinti. Ne consegue, ed è questo l’elemento capitale per il nostro soggetto, che la rottura del primo rapporto non implica di per se stessa la rottura del secondo.
Detto altrimenti, l’assenza d’Autorità non implica di per se stessa che la funzione di trasmissione delle cariche non possa essere più esercitata: questa seconda funzione non deriva formalmente dalla prima.

È quindi realmente possibile che Cristo, Capo della Chiesa, eserciti ancora la MISSIONE mediante gli atti posti dalla SESSIONE (cioè mediante coloro che occupano materialmente le Sedi) esclusivamente per questo: per questo aspetto secondario della MISSIONE specificato dalla continuazione [par la perduration] della Sessione.

Si deve anzi, nelle circostanze presenti, concludere ulteriormente. Dio infatti non rinnega i suoi doni, e non abbandona le sue creature, se per prima cosa queste non lo rinnegano (131).
Per cui, finché l’occupante della Sede apostolica non diserta, su questo punto preciso, dalla funzione di trasmettere l’occupazione delle Sedi, Cristo esercita di fatto la Missione, su questo punto, mediante i suoi atti. E si deve quindi affermare che l’occupazione solamente materiale delle Sedi si trasmette effettivamente nella Chiesa, finché gli atti umani esterni, d’ordine giuridico, richiesti per questo, sono effettivamente posti.

Si può chiarire ciò mediante una comparazione con l’ordine della grazia.
Nell’uomo in stato di grazia, la virtù della Fede deriva concretamente dalla grazia santificante, come tutto l’organismo sovrannaturale. Tuttavia, la Fede può rimanere nel soggetto che perde la grazia a causa del peccato mortale: alla sola condizione che tale soggetto non rigetti formalmente la Fede con un peccato contro di essa.

Allo stesso modo, normalmente, la funzione di trasmettere la Sessione si ricollega concretamente all’Autorità; essa ha tuttavia la sua specificazione e la sua realtà proprie. E così, questa funzione secondaria sussiste nell’«autorità» solamente materiale, che ha perduto l’Autorità a causa della sua assenza d’intenzione, ma che non si oppone direttamente a questa funzione di trasmissione delle cariche.

Il fatto della permanenza materiale della gerarchia nella crisi attuale è così dimostrato, in virtù del principio di «non diserzione» divino.

Si può affermare questa conclusione osservando che questa permanenza è altamente conveniente, addirittura necessaria, secondo le promesse di Cristo alla sua Chiesa.

Anche nella crisi, Cristo rimane con la sua Chiesa, e continua a farla sussistere conformemente alla natura che le ha donato istituendola; ciò, lo crediamo per Fede: è l’indefettibilità della Chiesa.

Questa affermazione, per non essere puramente verbale, deve avere una portata concreta: in quale maniera, di fatto, Gesù è ancora attualmente con la sua Chiesa?

Se si considera la Chiesa come Corpo Mistico, Gesù rimane oggi con Essa mantenendo vivente la Testimonianza della Fede e la santificazione mediante i Sacramenti autentici, così come l’Oblazione del vero Sacrificio. Ciò che prova l’esistenza di coloro che vengono chiamati «tradizionalisti».

Ma in quale maniera, concretamente, Gesù è ancora con la sua Chiesa considerata come società umana? A questa domanda, che deve avere una risposta, rispondiamo: mantenendo al suo posto la struttura gerarchica visibile, mentre permette la grande prova costituita dall’eclisse dell’Autorità e delle sue funzioni sovrannaturali.

Questa permanenza della struttura gerarchica costituisce l’addentellato divinamente stabilito del rinnovamento dell’Autorità; ed esso assicura la continuità materiale della successione gerarchica, continuità assolutamente richiesta dalla nota di Apostolicità (132).

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NOTE.

(125) 29 giungno 1896; cf. E.P.S. E. n°550.
(126) Giovanni XVII, 4.
(127) Ebrei X, 5-7.
(128) Giovanni XVIII, 37.
(129) Giovanni III, 17.
(130) Cf. Matteo XXVIII, 19: Ammaestrate... battezzate... insegnate ad osservare.
(131) Cf. sant'Agostino, De natura et gratia, c. 26 §29; assioma citato dal Concilio di Trento (cf. D.S. 1537) e fissato dalla teologia cattolica.
(132) Questa successione ininterrotta è richiesta dall’istituzione divina:
«Se qualcuno dice che non è per l’istituzione divina dello stesso Cristo Signore, e quindi di diritto divino, che il beato Pietro ha dei successori senza interruzione nel primato su tutta la Chiesa, […] sia anatema» (Vaticano I, Cost. Pastor Aeternus, D. 1825).
Questa successione ininterrotta non richiede evidentemente che ci sia sempre un Papa in atto. Essa esige la continuità e la permanenza dell’istituzione, secondo che lo comporti la natura delle cose in una società umana.
Ecco ciò che scrive a questo proposito il Padre Goupil s.j. (L’Eglise5me ed., 1946, Laval, pp. 48-49):
«Notiamo che questa successione formale ininterrotta si deve intendere moralmente, così come lo comporta la natura delle cose: successione di persone, modo elettivo, come ha voluto Cristo e ha compreso tutta l’antichità cristiana. Questa perpetuità non esige quindi che tra la morte del predecessore e l’elezione del successore non ci sia alcun intervallo, né che in tutta la serie dei pastori nessuno possa essere stato trovato dubbio; ma s’intende con essa una successione di pastori legittimi, tale che mai la sede pastorale, anche vacante, anche occupata da un titolare dubbio, possa realmente essere reputata incorsa nella mancanza di successori [tombé en déshérence]; ossia che il governo dei predecessori persevera virtualmente nel diritto della sede sempre in vigore e sempre riconosciuto, e che sempre abbia anche perseverato la cura [le souci] di eleggere un successore (Ch. Antoine, De Ecclesia).»

Come il lettore vede attraverso queste spiegazioni dei teologi che scrivono prima della crisi attuale, l’occupazione materiale delle Sedi risponde assai bene all’esigenza della continuità della gerarchia.

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