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lunedì 8 febbraio 2016

Abbé Belmont : «Impresa Mons. Williamson, ogni genere di demolizione»

Altra traduzione di un articolo, di non troppo tempo fa, tratto dal blog personale dell’Abbé Belmont e dedicato alla “teologia” di mons. Richard Williamson. Don Hervé possiede lo stile cristallino dei cultori della Verità, da autentico innamorato di Cristo. Leggere i suoi contributi in un’epoca drammatica e desolante come la nostra è per il sottoscritto un’autentica fonte di discernimento e consolazione. (Le note al testo, qui quanto mai esplicative, sono dello stesso Don Hervé).


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Impresa Mons. Williamson, ogni genere di demolizione
di Don Hervé Belmont
Martedì 4 marzo 2014


In cinque recenti articoli del suo blog Kyrie eleison (nn. 343, 344, 357, 358, 359), mons. Richard Williamson ha intrapreso un compito che oltrepassa manifestamente le sue competenze teologiche e che dà a pensare sulla sua adesione alla dottrina cattolica; infatti egli porta al loro parossismo i falsi principi professati e messi in opera nella fraternità San Pio X.

Egli ha l’intento di confutare i sedevacantisti – diritto che nessuno gli contesta – senza nemmeno rendersi conto che l’origine separatista del suo episcopato è mille volte più problematica, poiché una tale origine è esplicitamente condannata dalla Chiesa, e costituisce un “attentato contro l’unità della Chiesa” dixit Pio XII. Checché ne sia e indipendente da ciò, la diatriba williamsoniana fallisce totalmente, per la semplice ragione che torna a negare la dottrina cattolica e a svuotare di senso i testi dogmatici per renderli inutili : essa non può essere che falsa e nefasta.

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Si sa che io apprezzo poco questa parola sedevacantismo, in quanto fa credere che designi un principio che presenti dei tratti originali e che i suoi partigiani vogliano promuovere e vedere perdurare. In realtà è il contrario : l’affermazione che la Santa Sede è vacante di ogni autorità pontificia è una conclusione (conclusione che rimane all’interno dell’intelligenza delle fede) che i sedevacantisti desiderano veder finire al più presto (per vie fondamentalmente sovrannaturali, conformi alla costituzione della Chiesa); è una conclusione che li rattrista ma che credono indispensabile riconoscere per professare la fede cattolica nella sua integrità e per non alterare la dottrina della Chiesa.

Se Mons. Williamson si fosse avveduto di ciò, si sarebbe posto dal punto di vista dell’atto di fede e della dottrina che la Chiesa professa riguardo se stessa, invece di lasciarsi andare a un naturalismo che gli fa moltiplicare i sofismi (vale a dire i ragionamenti che hanno un’apparenza di saggezza ma che sono ingannevoli ed erronei). Mi accontento di menzionarne qualcuno.

«La questione [dei papi conciliari] non è di primaria importanza. Se essi non sono stati Papi, la Fede e la morale cattoliche con le quali io devo “attendere alla mia salvezza con timore e tremore” (Cfr. Fil. II, 12), non cambiano di uno iota. E se essi sono stati Papi, non posso obbedire loro nella misura in cui si sono allontanati da questa Fede e da questa morale, perché “dobbiamo obbedire a Dio prima che agli uomini” (Atti, V, 29)» (Commento CCCXLI, 25/01/2014).

Ecco un paragrafo che non manca di impressionare chiunque abbia a cuore la salute della sua anima… ma che in realtà non è che un grossolano sofisma. Giacché ecco la fede cattolica : «E dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al Romano Pontefice è, per ogni creatura umana, necessario per la salvezza.» (Bonifacio VIII, bolla Unam Sanctam, 18 novembre 1302). Dissociare la salute eterna dalla sottomissione al Sovrano Pontefice, è ingiuriare Gesù Cristo che ha fondato la Chiesa su San Pietro e i suoi successori, e perdere le anime.

Invocare gli Atti degli Apostoli («bisogna obbedire a Dio più che agli uomini») contro il Sovrano Pontefice, non manca d’impressionare tutti coloro che voglio obbedire soprattutto a Dio, ma è in realtà un grossolano sofisma. Giacché ecco la fede cattolica : «Proprio al contrario, il divino Redentore governa il suo Corpo mistico visibilmente e ordinariamente mediante il suo vicario sulla terra» (Pio XII, Mystici Corporis, 29 giugno 1943). Dissociare l’autorità del Sovrano Pontefice dall’autorità di Gesù Cristo, o pretendere che obbedire al Papa sia semplicemente «obbedire agli uomini», è ingiuriare Gesù Cristo che ha comunicato la sua propria autorità a San Pietro e ai suoi successori, e perdere le anime.

E così Mons. Williamson decide di richiamare di sfuggita sant’Agostino alla riscossa, attribuendogli il principio : in dubiis libertas. Non solamente l’attribuzione è falsa [1], ma addirittura sant’Agostino riterrebbe che il dubbio, in materia di dottrina e d’azione, non genera libertà ma la necessità di cercare più intensamente la verità. Il dubbio non è un bene desiderabile (cosa che potrebbe giustificare la libertà che gli si attribuisce) ma una carenza dello spirito, alla quale si deve rimediare – se ciò può essere l’oggetto di una ricerca virtuosa.

Forte di ciò, Mons. Williamson intraprende una demolizione sistematica del Magistero della Chiesa: il Magistero ordinario e universale non esiste più, poiché egli vuole intendere ordinario in un senso triviale, ed intende universale in un senso esplicitamente scartato dal (primo) concilio Vaticano ed adottato dal magistero post-conciliare [2]. I giudizi ex cathedra del sovrano Pontefice non esistono più, poiché devono fondarsi (pretende egli) sul magistero ordinario e universale (che non esiste più); egli sostiene questa pretesa in contraddizione con la definizione del (primo) concilio Vaticano che precisa che «queste definizioni del Pontefice romano sono irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa».

Questa demolizione continua mediante la confusione dell’ordine della conoscenza e dell’ordine dell’essere, mediante la confusione tra l’infallibilità e l’inerranza [3]; mediante la pretesa di fare della conformità alla Tradizione una condizione dell’infallibilità del magistero, quand’essa ne è la conseguenza [4] etc.

Non c’è più magistero, più obbedienza, più unità, più gerarchia… più niente. Svuotare il dogma cattolico dall’interno, alterando le nozioni che Dio e il Magistero della Chiesa utilizzano per rivolgersi all’intelligenza umana, ciò ha un nome nella storia delle dottrine : ciò si chiama modernismo. Modernismo nel senso preciso del termine, tale quale lo forgiò san Pio X. Non utilizzo il termine nel senso mondano, né nel senso che s’incontra nelle polemiche condotte dagli ignoranti : ma proprio nel senso di distruzione dell’intelligenza della fede.

Non c’è più Chiesa cattolica, non più. Giacché, come bouquet finale, pensando di «volgersi verso l’infinita altezza e profondità di Dio Stesso», ecco che Mons. Williamson ci svela il fondo del suo pensiero: dopo sette secoli, la Chiesa cattolica s’è posta a rimorchio dell’umanità che volge le spalle a Dio; la Chiesa è su una brutta china, e, per compensare o camuffare ciò, essa rinforza l’infallibilità del Magistero. Che fine teologia, che profondo amore per la Chiesa! Il cavaliere Williamson si ritrova, attraverso i secoli, solo a combattere in maniera efficace ed adeguata «l’eresia universale del liberalismo»[5] . Ma a quale prezzo!

Ci siamo ridotti ad un triste livello. Kyrie eleison, è il caso di dire e di ripetere senza posa: Signore, abbi pietà di noi.

NOTE:

[1] Spesso si vede qua o là attribuire a Sant’Agostino l’adagio : «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas», unità nelle cose necessarie, libertà in quelle dubbie, carità in ognuna. Ora questa formula è introvabile in Sant’Agostino. In realtà, essa è dovuta al protestante Peter Meiderlin (Rupertus Maldenius) (22 marso 1582 – 1 giugno 1651) a proposito delle controversie tra protestanti.

Riferimento : Joseph Leclerc s.j. in Recherches de sciences religieuses, tomo LII-3 pag. 432 (1964). Cf Esprit et Vie (ex Ami-du-Clergé) del marzo 1973, pag. 98 (copertina).

Ipotesi : è il titolo dell’opera [Paraenesis votiva pro pace ecclesiæ ad theologos augustanæ confessionis] da cui è tratta questa frase che l’avrebbe fatta attribuire a Sant’Agostino – ma per una grossolana confusione, giacché «Augustanæ Confessionis» non designa le «Confessioni di Sant’Agostino» ma la «Confessione di Augusta», manifesto dottrinale del protestantesimo luterano.

È del resto difficile attribuire questo testo a Sant’Agostino, per poco che ci si rifletta. Non avrebbe certo fatta nessuna difficoltà per «in omnibus caritas», anzi al contrario. Ma la distinzione tra «dubiis» e «necessariis» rileva una grande differenza : non solamente queste sono due nozioni che non sono dello stesso genere (una compete alla conoscenza, l’altra all’essere), ma tra le due c’è anche tutto il probabile e il sicuro contingente. E poi ci sono cose dubbie che si possono (o anche che si devono) lasciare come sono, mentre ci sono dubbi che si ha il dovere di toglier via : quando ne va dell’onore di Dio, della validità dei sacramenti, della condotta da seguire secondo giustizia, di ciò che è necessario alla comprensione della fede e della parola del Magistero.

In realtà, questa distinzione non ha senso che nell’ottica del libero esame protestante : laddove la Bibbia non ammette divergenza alcuna di interpretazione, necessità e unità. Il resto è rigettato nel dominio del dubbioso e del libero, essendo ciascuno giudice di ciò che è necessario e di ciò che è dubbio.

[2] Concilio Vaticano, Dei Filius, Denzinger 1792 [3001, 40ed.it.]: «Inoltre, con fede divina e cattolica, si deve credere tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone di credere come divinamente rivelato sia con un giudizio solenne, sia nel suo magistero ordinario e universale». Il senso dell’espressione Magistero ordinario e universale è precisato negli interventi e rapporti ufficiali della Deputazione della fede, incaricata di esplicitare ai Padri prima degli scrutini il senso esatto di ciò che andavano a definire. La Deputazione rinvia alla Lettera apostolica di Pio IX Tuas libenter del 21 dicembre 1863 : «Infatti, anche se si tratta di quella sottomissione che si deve prestare con un atto di fede divina, tuttavia questa non deve essere limitata a quelle cose che sono state definite con espliciti decreti dei Concili e dei Pontefici Romani e di questa stessa Sede Apostolica, ma deve essere estesa anche a quelle cose che, per mezzo del magistero ordinario di tutta la Chiesa diffusa sulla terra, sono trasmesse come divinamente rivelate» Denzinger 1683 [2879, 40ed.it.].

Universale indica in questa espressione l’universalità della Chiesa insegnante, il Papa e i vescovi subordinati. Il Magistero universale è quindi il potere d’insegnamento della Chiesa esercitato dal Papa e l’insieme dei vescovi attualmente viventi. Esso è ordinario perché ha luogo mediante modalità di esposizione, e non mediante modalità di giudizio solenne.


[N.d.t. : Nella Ad tuendam fidem viene anche data la seguente ambigua definizione : “…magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero…”. L’adesione dei fedeli all’insegnamento, o la realizzazione di questa adesione da parte dei fedeli, non può essere carattere essenziale del Magistero ordinario universale, dato che i suoi pronunciamenti, proferiti dalla Chiesa docente, sono di per sé infallibili e irreformabili e non in virtù del consenso della Chiesa (cfr. Alessandro VIII, Inter multiplices, 4 agosto 1690, Denz 1322 (2281-85); Pio VI, Auctorem fidei, 28 agosto 1794, Denz. 1598 (2699-2700). Mons. Williamson ripete il medesimo dettato in quei suoi cinque interventi, pronunciando affermazioni già condannate dal Magistero della Chiesa].

[3] Questa confusione gli era già stata segnalata nel 1979 dal R. P. Guérard des Lauriers (Cahiers de Cassiciacum, n°2, novembre 1979, pp. 88-91) ed io stesso gli avevo mostrato ch’essa rende vana l’infallibilità del Magistero della Chiesa, tanto quella del Papa che quella della Chiesa insegnante in tutta la sua estensione : si era nel corso di un ritiro, al momento di prendere congedo, il 20 (o 21 ?) novembre 1979, da Écône.

[4] Questa pretesa, non solamente distrugge l’infallibilità del Magistero, ma rende impossibile la stessa fede cattolica. Si veda http://ddata.over-blog.com/xxxyyy/0/18/98/43/La-foi-est-infrangible/A-5-Ruine-de-la-foi.pdf [tr.it.] ed anche http://www.quicumque.com/article-la-sainte-eucharistie-et-le-nouveau-jansenisme-75355722.html [tr.it.].

[5] Durante questi cinque articoli, si assiste ad una ripetuta invocazione, incantatoria, della lotta contro il liberalismo. A dispetto della dottrina, a dispetto del Magistero, a dispetto dell’essere storico della Chiesa. Tutto ciò non manca d’essere inquietante.

Si conosceva un «antiliberalismo» il quale permette di giudicare e di denigrare il proprio prossimo. Si conosceva un «antiliberalismo» il quale permette di immischiarsi in tutti gli affari del prossimo. Si conosceva un «antiliberalismo» il quale permette di occultare situazioni matrimoniali irregolari, di cancellare gravi deviazioni morali o di fare come se gravi censure fossero state assolte («l’elemosina antiliberalista copre una moltitudine di peccati»). Ora si ha un «antiliberalismo» che si nutre di modernismo… Il carattere comune di questi «antiliberalismi» è che essi non definiscono mai cosa sia il liberalismo. Eppure è di qui che occorre cominciare se si vuole guardarsi da lui e combatterlo veramente.

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