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sabato 13 febbraio 2016

Abbé Belmont : «La santa Eucaristia e il nuovo giansenismo»

Il testo che segue accompagna il precedente ed è il secondo, relativo alla medesima nota con cui l’Abbé Belmont ha inteso supportare il richiamo al senso della corrispondenza che lega tra loro «Infallibilità del Magistero (compreso quindi tanto quello “Straordinario” che quello “Ordinario e Universale”)» e «conformità alla Tradizione». Con ciò la questione è da Don Hervé inquadrata analogicamente dal punto di vista latamente sacramentario : cioè che, di nuovo, è sempre Dio, tramite la Chiesa, la fonte di ogni grazia, tanto di quella sacramentaria in senso stretto che di quella che rende possibile la testimonianza della verità, cioè la professione di fede. Nel caso della S. Comunione è il sacramento che produce l’idoneità (previa la debita disponibilità del comunicante), nel caso del Magistero è l’isegnamento infallibile che produce la conformità alla Tradizione (previa la debita disponibilità del professante). La qualità ed esigenza sovrannaturale dell’atto di fede che sostiene la comunicazione e la professione è il medesimo.

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LA SANTA EUCARISTIA E IL NUOVO GIANSENISMO
1 Giugno 2011


Nella rivista per le famiglia «La Cigale de Saint-François», «Oncle Armand» firma un articolo che tratta della santa Comunione : è sempre bene rimettersi davanti agli occhi la grandezza ed esigenza di questo Sacramento.

Egli mette anche in evidenza che certe teorie che circolano a proposito dell’infallibilità del Magistero non sono nient’altro che l’analogo del giansenismo… Ecco il perché, con il suo consenso, pubblico oggi qui il suo articolo.

Abbé Hervé Belmont.

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Il Corpus Domini si avvicina ; è una grande giornata di adorazione e d’azione di grazie per Nostro Signore Gesù Cristo, nostro Dio e nostro Salvatore, colui che ha istituito il grande mistero del Sacramento della santa Eucaristia al fine di perpetuare il suo Sacrificio, al fine di donarsi a noi nella Comunione in pegno di vita eterna e al fine di rimanere con noi sulla nostra terra di indigenza. Ecco il perché, miei cari, dedico il presente articolo alla santa Eucaristia: e più precisamente alla Comunione, così come già feci per il Santo Sacrificio della Messa.

Quando si richiama la ricezione di Gesù Cristo nella comunione Eucaristica, si accorda grande importanza alle condizioni ad essa necessarie, e si ha ragione di farlo perché l’Apostolo san Paolo dice che colui che si avvicina indegnamente alla santa Tavola mangia e beve la sua propria condanna : è difficile essere più severi di così e menzionare una prospettiva più terribile. Vorrei tuttavia mostravi che questa non è la sola cosa da considerare.

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Sono quattro le condizioni richieste per comunicarsi, lo sapete bene quanto me. Tra esse, le prime tre dipendono dalla natura delle cose tale quale Dio l’ha istituita, e nessun potere al mondo può cambiarla: occorre essere battezzati, in stato di grazia, e avere retta intenzione.

Il Battesimo è necessario perché solo esso dona la possibilità di ricevere gli altri sacramenti. Più esattamente è il carattere che il sacramento del Battesimo imprime nelle nostre anime che ci conferisce questa attitudine. È per questo che il Battesimo di desiderio e quello di sangue non bastano: essi suppliscono certamente l’effetto della grazia del Battesimo ma non imprimo il carattere indelebile che, delegatoci internamente per adempiere il culto di Dio, ci dona la capacità ricettrice sacramentaria. Se un non-battezzato ricevesse la santa Comunione, riceverebbe sicuramente Gesù Cristo che è presente nell’ostia indipendentemente da noi, ma non riceverebbe la grazia sacramentaria che ci unisce a Gesù Cristo e ci trasforma in Lui.

La retta intenzione è parimenti necessaria. A dire il vero, essa è necessaria per ogni nostra azione, ma più l’azione è santa, più una tale rettitudine d’intenzione è richiesta. Pertanto, è proprio per amor di Dio che dobbiamo accostarci alla santa Tavola, e non per qualche motivo umano, come lo sarebbe il «fare come tutti» o il «far piacere alla madrina».

Lo stato di grazia non è acquisito una volta per tutte: deve pertanto rappresentare l’oggetto della nostra maggiore preoccupazione. Per corrispondere all’amore di Dio, per essere pronto in ogni istante a comparire davanti a Lui, per non perdere occasione di ricevere Nostro Signore nella comunione, dobbiamo vegliare sullo stato di grazia più che sulla pupilla dei nostri occhi. Questa sollecitudine è tanto più necessaria quanto più manchiamo dell’evidenza d’essere in grazia di Dio: spetta insomma a noi rendere la testimonianza sincera che non abbiamo peccato mortalmente da dopo la nostra ultima buona confessione. Si noti di sfuggita che ciò conferma quanto una seria conoscenza del catechismo sia indispensabile alla vita cristiana. L’elemento necessario correlativo della presenza eucaristica è la presenza personale di Dio in noi: senza di essa, la comunione non apporta la vita divina, ma la morte dell’anima : Mors est malis, vita bonis, cantiamo nella Lauda Sion.

Essere a digiuno è la quarta condizione per comunicare; questa obbligazione attiene dappresso la natura della cosa, ma non vi è assolutamente congiunta: ecco perche se ne può essere dispensati in casi di necessità (la comunione in viatico) o perché il Papa Pio XII ha potuto addolcirne il rigore.

Se una delle condizioni enumerate è assente, si è indegni della santa Comunione. Se tutte sono soddisfatte, non se ne è indegni. Ma se ne è davvero degni? Ecco una difficoltà che occorre chiarire.

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Una creatura non è mai degna di ricevere il suo Creatore; peggio, un peccatore anche pentito non è degno di ricevere Colui che è la santità infinita, che non ha niente in comune con il peccato. Non si è quindi mai degni di comunicare… Eppure è Nostro Signore stesso che ci chiama alla santa Tavola : «Se voi non mangiate la mia Carne e non bevete il mio Sangue, non avrete la vita eterna… Venite a me voi tutti che penate sotto il fardello, ed io vi alleggerirò… Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori al pentimento…».

Come sciogliere quest’aporia? Osservando quella che è una verità salutare : essere degni di ricevere Dio non è una condizione per ricevere la santa comunione, ne è il risultato. Non andiamo a comunicarci perché ce ne reputiamo degni, andiamo a comunicarci perché Gesù Cristo ci invita, perché tutti ci chiama (fatte salve le quattro condizioni). Ed è la santa Comunione che colma Essa stessa l’indigenza della nostra anima.

Uno degli aspetti dell’eresia giansenista fu di confondere la condizione e il risultato. I nemici di Gesù Cristo e della sua Chiesa pretendevano che occorresse essere santi per comunicare, mentre la santità è il frutto della santa Comunione: essa è prodotta non dal nostro sforzo (anche se è richiesto!), ma dall’azione di Gesù Cristo infinitamente santo presente nel Sacramento.

Un errore simile e altrettanto nefasto circola oggi negli ambienti che si dicono tradizionalisti: esso consiste nell’affermare che la conformità alla Tradizione della Chiesa è una condizione preliminare dell’infallibilità del Magistero, quando invece questa conformità è il risultato dell’infallibilità. Questo errore forgiato per sfuggire alla logica della fede è ben più grave del semplice disprezzo : esso rende vano il Magistero della Chiesa, rende impossibile la conoscenza certa della Rivelazione divina, distrugge la fede senza la quale è impossibile piacere a Dio.

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Lungi da questi due errori devastatori, leghiamoci a Gesù Cristo Figlio di Dio fatto uomo. Nella santa Chiesa e mediante essa, egli ci accorda questi due doni che manifestano la sua infinità bontà : la virtù della fede, con la quale egli ci illumina della Verità eterna; la santa Comunione, con la quale anticipa nella nostra anima la Vita eterna, e ci concede i mezzi per perseverarvi.

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