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sabato 13 febbraio 2016

Tesi di Cassiciacum e crisi nella Chiesa (Parte II)

«Tesi di Cassiciacum e crisi nella Chiesa»

Parte II

Nota : Il testo è la trascrizione della seconda parte della video-intervista rilasciata da Don Francesco Ricossa nel 2007. (Qui la prima parte).

3. L’IMBC celebra la S. Messa non “una cum”. Ma in cosa consiste esattamente?

La spiegazione è facile. Nel rito della Messa, la parte più importante è il Canone (che tra l’altro è la parte più antica), dove viene detto che la S. Messa è celebrata “una cum famulo tuo, Papa nostro”, con a seguire il nome del Papa, prima, e del Vescovo, poi, ed infine di “tutti i fedeli che conservano la fede cattolica e ortodossa”, cioè retta, vera. Questo è un passo pieno di valenze, molto più ricco di quello che non può sembrare a prima vista. Prima di tutto è una affermazione di comunione. Il celebrante della Messa si dichiara – come deve essere ogni sacerdote – in comunione con il Papa, che è il Vicario di Cristo, e poi con il proprio Vescovo, non come persone private, ma proprio in quanto sono il Papa, cioè il Supremo Pastore della Chiesa, e il Vescovo del luogo, cioè il pastore di quella Chiesa locale. Si afferma che la Chiesa è come una sola cosa, è unita, è assieme tanto al Papa come al Vescovo. Vi è anche da sapere che, se il Santo Sacrificio della Messa è stato istituito da N.S.G.C. che ha dato l’ordine di celebrarlo (“Fate questo in memoria di me”), bisogna anche dire che questo Sacrificio è stato dato da N.S G.C. alla sua Chiesa, e qui è la Chiesa che intima la celebrazione del Sacrificio, quindi è il capo della Chiesa, il Papa, che normalmente intima la celebrazione del Sacrificio. Quando il sacerdote celebra, non si tratta di una devozione privata, della preghiera personale di quest’uomo, ma del sacerdote ch’è ministro della Chiesa, che deve celebrare avendo l’intenzione di fare ciò che fa e ciò che intende fare la Chiesa; quindi obbedendo al mandato che la Chiesa e, naturalmente, il suo capo gli dà. Questo per capire l’importanza della questione. Molti fedeli prendono la S. Messa quasi come un atto di devozione privata e personale, e per questo non importa loro granché che sia nominato o no il Sommo Pontefice e cose di questo genere. Invece bisogna che i cattolici ritornino a queste grandi verità e si ricordino anche di questo fatto.

È allora evidente che la celebrazione della Messa in comunione con il Sommo Pontefice – se la sede non è vacante – è assolutamente necessario come garanzia di ortodossia. P. es., la prima cosa che hanno fatto tutti gli scismatici – pensiamo al Grande scisma d’Oriente che si consumò nel 1054, e già una prima volta con Fozio –, il [loro] primo gesto fu quello di cancellare dai Dittici, e praticamente potremmo dire dal Canone, il nome del Papa, del Vescovo di Roma. Questo fu il segno tangibile, visibile di rottura dell’Oriente cristiano – che quindi cristiano non era più veramente – con la Chiesa Cattolica, con la Chiesa di Roma, e quindi con la Chiesa di Cristo. Una celebrazione della Messa, anche con il rito più santo, ma senza citare il nome del Papa – se il Papa siede sulla Sedia di Pietro – è una dichiarazione di scisma, e quindi questa Messa non può essere gradita a Dio per questo fatto. Non che il rito non sia buono, che la Presenza del Signore non vi sia, ma purtroppo vi è questo sacrilegio dato appunto dalla negazione del fatto che quel Pontefice è in questo momento il Vicario di Cristo e Capo della Chiesa. Naturalmente, però, la Chiesa prevede anche il caso opposto, ovverosia: quando la Sede è vacante, quando il Papa è morto e non ne è stato eletto un altro, questa parte della S. Messa deve essere omessa. Non può essere nominato il Papa defunto, e ancora meno può essere nominato una persona che non è il Vicario di Cristo. Quindi è erroneo, è in un certo senso un sacrilegio, almeno oggettivamente, il non nominare il nome del Papa che c’è, che siede sul Trono di Pietro, e allo stesso modo è una mancanza alla professione di cattolicità il nominare nel Canone della S. Messa qualcuno che non può essere il legittimo pontefice; tanto più se insegna abitualmente l’errore ed impone (quand’anche solamente “permetta” [la Messa Romana], come oramai dopo il “Motu proprio” bisogna dire,) un rito che non può essere cattolico, che non può provenire dalla Chiesa. Non possiamo dire che noi celebriamo Messa sotto ordine, in obbedienza, in unione, in comunione di fede, in comunione canonica con l’attuale occupante della Sede di Pietro.

Ecco perché, quindi, anche quando la S. Messa viene celebrata con il Rito Romano (chiamato anche Tridentino dal Concilio di Trento, o di S. Pio V, o come volete chiamarlo), se è celebrato in comunione prima con Paolo VI, poi con Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, adesso con Benedetto XVI, ebbene, questa Messa contiene in se stessa un qualche cosa di erroneo, che si oppone al sensus fidei, al sentimento della fede e ch’è una proclamazione erronea di comunione quando ciò non è possibile e che, per il fatto stesso, attribuirebbe alla Chiesa – perché verrebbe dal Papa – sia la riforma liturgica, sia gli errori conciliari. Ragione per cui il sacerdote celebrante deve astenersi dal nominare qualcuno che non è formalmente il successore di Pietro laddove la liturgia prescrive di nominare il nome del Papa o di ometterlo se il Papa non c’è. Ed i fedeli devono anche essi comportarsi coerentemente. Siccome l’assistenza alla Messa è anche un atto di professione di fede, una testimonianza di fede, non possiamo, assistendo normalmente a delle celebrazioni officiate in comunione con chi non può essere il Vicario di Cristo – se ce ne rendiamo conto, se siamo convinti di questo fatto –, non possiamo fare una contro-testimonianza. Ecco quindi la posizione dell’Istituto, anche se questo implica gravi disagi sia per noi che per tanti fedeli, per tanti cattolici: noi insistiamo – anche al seguito di P. Guerard – sul fatto che non si può celebrare e non si deve assistere a delle Messe celebrate in comunione con Benedetto XVI ora, e prima con Giovanni Paolo II [3]. Ragione per cui anche le Messe che erano dette “con l’Indulto”, e che adesso possono essere [sempre] dette, o anche quelle dette dalla FSSPX, rientrano in questo caso, in quanto essi celebrano “in comunione” con chi autorizza e vuole come rito ordinario il nuovo messale e sostiene e difende gli errori del Concilio, e soprattutto occupa la Sede non avendone l’Autorità divinamente assistita.

4. Lei ha accennato al “Motu proprio [Summorum Pontificum, 7/7/2007]” di Benedetto XVI circa la liberalizzazione del messale del ’62. Può approfondire la sua analisi?

Il messale del ’62 è ancora sostanzialmente la Messa romana che viene dalla più antica tradizione, ma risente già di alcune variazioni, di diversi cambiamenti, soprattutto nel Breviario ma anche nella celebrazione della Messa, perché contempla le riforma di Giovanni XXIII. (La FSSPX adottò questa liturgia, proprio di già in vista di un accordo futuro. Mons. Lefebvre diceva: “Non accetteranno mai rubriche precedenti. Bisogna proporre loro quelle di Giovanni XXIII”. Noi invece celebriamo con le rubriche di San Pio X, quelle che sono esenti da tutto questo movimento liturgico, che non è iniziato in un giorno solo ma che gradualmente ha cambiato, sempre con lo stesso spirito, la liturgia della Chiesa). In un comunicato che abbiamo diffuso diciamo prima di tutto che questo “Motu proprio” non è un documento della Chiesa, quindi non è neanche un Motu proprio, perché, come abbiamo detto prima, se e fino a quando Benedetto XVI non ha l’Autorità divinamente assistita, cioè non è formalmente Papa, i documenti che egli promulga non sono documenti della Chiesa. Ciò non toglie che questo documento non possa avere un’importanza e delle conseguenze nella Chiesa. La seconda riflessione che abbiamo fatto in questo comunicato è che il grande assente, in tutte le discussioni che si sono svolte in seguito alla promulgazione del, chiamiamolo così, “Motu proprio” Summorum pontificum cura, è proprio il Breve esame critico del Novus Ordo Missae. Tutti coloro che si sono opposti dal ’65, e soprattutto dal ’69, alla riforma del Messale ed alla riforma liturgica sapevano cosa fosse il Breve esame critico: il testo è il punto di riferimento per tutti. È veramente triste per me che ho vissuto quei tempi, vedere come il Breve esame critico non è stato nominato da nessuno. Padre Guérard des Lauriers, senza firmarlo con il proprio nome, con la collaborazione di un gruppo di teologi, insieme alla scrittrice Cristina Campo, redasse questo Breve esame critico nel quale venivano sottolineati i principali problemi sollevati dalla riforma liturgica, i punti nei quali la riforma liturgica “nel suo insieme come nei particolari, nelle parole dei cardinali Ottaviani e Bacci, si allontana dall’insegnamento della Chiesa fissato dal Concilio di Trento contro la Riforma di Lutero”. Quindi si giungeva alla conclusione: “Esso pone un problema di coscienza per ogni cattolico”. I cardinali nella lettera a Paolo VI – ricordiamoci che non era stato ancora promulgato il nuovo messale – dicevano che “una legge quando si dimostra cattiva deve essere abrogata”. Chiedeva quindi due cose: il mantenimento del Messale Romano tradizionale e la soppressione della nuova liturgia. Il “Motu proprio” di Benedetto XVI in un certo senso, in una maniera ancora limitata che nella pratica non sarà ancora, temo, efficace, risponde positivamente, dopo così tanti anni ad una delle due domande: la libertà di continuare a celebrare con il messale tradizionale (e questo però con estremi limiti che ancora sussistono); mentre invece non risponde ancora positivamente all’altra domanda: l’abrogazione e la soppressione della nuova liturgia, anzi porta su questa un giudizio che è il contrario di quello del Breve esame critico. Mentre il Breve esame critico diceva che la riforma liturgica del Nuovo messale era nell’insieme come nei dettagli contraria alla dottrina della Chiesa sulla Messa e sul Sacrifico della Messa, il “Motu proprio”, o meglio la lettera ai vescovi che lo precede, dice che è necessario riconoscere il valore, la validità e la santità del Nuovo Rito, che “ha dato tanto bene alla Chiesa” e che quindi rimane il rito romano ordinario nella Chiesa; mentre invece l’altro, quello di sempre, sarebbe solamente un rito straordinario, eccezionale, quindi secondario.

Questo ci conduce a dover dare un giudizio negativo [sul “Motu proprio”], perché prima di tutto mantiene nella Chiesa il nuovo messale e la riforma liturgica, che non possono mantenersi o restare nella Chiesa; impone di accettare il valore e la santità di questo Rito che invece cozza contra l’insegnamento della Chiesa, la liturgia e lo spirito liturgico della Chiesa; infine perché dà e mantiene al Nuovo Rito, un rango persino di superiorità sul Rito Romano. Quindi il giudizio è negativo, perché il bene viene da una causa integra, il male da un qualunque grave difetto, ed avendo questo “Motu proprio” questo grave difetto, [ed essendo] questo punto dottrinale per noi ancora inaccettabile, questo documento non può essere da noi che respinto.

Qualcuno ci accuserà di essere fuori dal mondo, di non essere pratici, pragmatici, di volere troppo, di chiedere troppo. Questo può avere senso nelle cose profane e temporali, politiche magari, ma non certamente nella Chiesa, nelle questioni di Fede. Non posiamo dire che: “abbiamo [da un lato] un errore al 100%, [dall’altro] la verità al 100% e ci accordiamo a mezza strada al 50%”. Sarebbe una cosa inaccettabile. Però ci rendiamo naturalmente conto anche noi che, da un punto di vista pratico, questo vento di follia, questo male, questo tumore che era il modernismo e che San Pio X disse che si celava nel seno stesso della Chiesa, è una malattia così grave che non potrà essere guarita immediatamente, salvo un miracolo di Dio, ma dovrà essere estirpato e curata poco a poco. Da questo punto di vista il “Motu proprio” può essere un primo passo, qualcosa di positivo ma a determinate condizioni. Prima di tutto vi è di positivo la dichiarazione di fallimento dei modernisti nel loro tentativo di distruggere la Messa Romana: una dichiarazione ufficiale di fallimento. Il “Motu proprio” afferma che il Messale Romano (quella che vien chiamata la Messa di San Pio V) non era stato mai proibito. Tra l’altro se così è, non si capisce perché il “Motu proprio” proponga ancora a questo Messale dei limiti: non si può celebrarlo nel Triduo Sacro, bisogna avere il permesso del parroco, nelle parrocchie solo una Messa alla domenica e non più di una. Se non è mai stato proibito si può usare sempre! Ma in realtà chi ha memoria (ed io ho oramai una certa età ed ho vissuto quei tempi) ricorda benissimo quel discorso al Concistoro, cioè ai Cardinali, che Paolo VI fece il 24 maggio del 1976 e nel quale dichiarò che il Nuovo Messale sostituiva quello precedente: non era fatto per affiancarlo ma per sostituirlo ed in nome dell’obbedienza della Tradizione chiedeva a tutti i sacerdoti di celebrare esclusivamente con il Nuovo Rito, anzi li obbligava [4] . Ragione per cui molti sacerdoti che fino a quella data avevano mantenuto la celebrazione dell’Antico Messale, pensando che fosse ancora lecito, cessarono, per obbedire alla parole di Paolo VI, di celebrare con il Messale detto di San Pio V e adottarono con il crepacuore il Nuovo Messale. Adesso, nel 2007, ci vengono a dire che Paolo VI non diceva la verità ed ha ingannato il mondo intero? Questa è una contraddizione che ci dovrebbero spiegare. Ma appunto, queste cosa posso succedere ma non nella Chiesa, e, proprio per ciò, dalla Chiesa non viene né quello che ha detto Paolo VI né quello che ha scritto Benedetto XVI.

Possiamo però dire che veramente Paolo VI ha tentato di strangolare, di vietare, di proibire di far scomparire la Messa! Non ci sono riusciti grazie a coloro che, in nome della Fede, fondandosi anche sull’Esame fatto da P. Guerard, hanno rifiutato di celebrare con il Nuovo Messale. Si pensava che questi vecchi sacerdoti sarebbero morti senza lasciare eredi: siamo nel 2007 e, dalla soppressione dell’Antico Messale nel 1969, gli eredi ci sono. Ragioni per cui non è stato ucciso il Messale. Ottima cosa, ottima constatazione, inizio forse di guarigione.

Tuttavia vi è però un altro aspetto positivo, ed è che finora coloro che celebravano con il Messale Romano erano considerati come proscritti, come appestati, mentre adesso, invece, nella mentalità comune della gente, vi è l’idea che in fondo “non avevano torto”. Allo stesso modo, le Messa romana, che praticamente era scomparsa dalla vita dei fedeli cattolici – vi è praticamente una generazione e più che non ha mai visto celebrare con il Messale Romano –, forse comincerà ad essere vista. Il che è un bene, perché ci si abitua di nuovo a vederla.

Vi sono però dei gravi pericoli, dei gravi rischi (che sono tanti). Uno verte sulla validità dei nuovi riti, dei nuovi sacramenti. Abbiamo visto che un rito se viene dalla Chiesa ha garanzia di validità e di santità. Tutto ciò che la Chiesa approva, promuove e fa suo, non può contenere errori, non può non esser santo come la Chiesa è santa, non può non santificare le anime. Un rito che invece non viene dalla Chiesa non ha questa garanzia, ecco quindi che la riforma liturgica nel suo insieme, se è stata voluta, ed è stato dichiarato in maniera esplicita, per andare in contro ai protestanti, che negano i dogmi cattolici proprio in materia di sacramenti, non può venire dalla Chiesa, anche solo per questo fatto. Ma se non viene dalla Chiesa non ha garanzie né di santità, né di santificazione della anime e neppure di validità – tranne dove la validità è assicurata per altri motivi come per es. nel battesimo e nel matrimonio, ecc. Quindi vi è un dubbio che solo l’autorità suprema, legittima potrà risolvere sulla validità dei sacramenti in genere amministrati con il nuovo rito.

Da qui un mucchio di conseguenza pratiche preoccupanti, se ci si pone questo problema, e a mio parere occorre porcelo: il sacramento dell’ordine amministrato con il Nuovo Rito è valido? Un insigne domenicano [5], che accetta la riforma liturgica, ha pubblicato però degli studi dicendo che la riforma liturgica dell’ordine è in tutto e per tutto simile, nella sua ispirazione, alla riforma anglicana – e sappiamo che Leone XIII ha dichiarato invalidi questi ordini. Per lui [l’insigne domenicano] sono validi solo perché questo rito, che di per sé non è soddisfacente, è però un rito della Chiesa, ma se, per la soluzione che dicevo prima, non è un rito della Chiesa, non vi è questa garanzia. Abbiamo quindi forse – forse – dei sacerdoti, e dei vescovi, apparentemente tali che possono non esserlo. Quando anch’essi celebrassero con il rito antico, non avendo però in realtà il sacramento dell’ordine, queste Messe non sarebbero valide. Anche dei sacerdoti consacrati, ordinati con il rito antico, ma da vescovi che forse non lo sono, hanno il dubbio di essere veramente sacerdoti e quindi queste Messe sono, per il fatto stesso, anch’esse dubbie.

Il nuovo rito della Messa è dubbiosamente valido, ne consegue che, celebrando con il “Motu proprio” in una chiesa, in una parrocchia e p. es. amministrando la comunione con le particole che si trovano nel tabernacolo – che sono state consacrate, mettiamo, con una nuova liturgia – forse non vi è la presenza reale. Al contrario, celebrando con il rito antico validamente e lasciando poi queste particole nel tabernacolo, subito dopo vi può essere la nuova liturgia, ed ecco che il Corpo e il Sangue di Cristo possono essere dati in mano a dei fedeli che nella maggior parte, oggi come oggi, si comunicano senza confessarsi anche da tantissimo tempo e senza essere in grazia di Dio (e di fatto questa è oramai la situazione) durante riti improvvisati, con abusi che Benedetto XVI stesso nel “Motu proprio” dice “al limite del sopportabile” e persino oltre: ecco che ci esponiamo a profanazioni e sacrilegi.

Di più, sarebbe un grosso rischio quello di pensare che ci basti avere la Messa e i sacramenti e svincolare la Messa e i sacramenti dalla Fede. Se la Messa di San Pio V è celebrata in un contesto di accettazione del Concilio è un inganno, un inganno doppio. I fedeli allora, i cattolici, si accontenterebbero di un rito dignitoso, bello, maestoso e poco gli importerebbe della fede che è veicolata. Ricordiamoci quindi, che i sacramenti sono sacramenti della Fede, per cui la Messa cattolica in un contesto p. es. di ecumenismo, di libertà religiosa ecc., è fuori luogo. La nostra battaglia per la difesa della fede non finisce certo perché è stata resa lecita la liturgia cattolica.

Altri ultimi due pericoli del “Motu proprio” sono: è possibile – è possibile, dico solamente – che la FSSPX e altri cattolici che si sono posti contro le riforme conciliari, di fronte questo “atto di benevolenza” di Benedetto XVI ammainino del tutto la bandiera e quindi finiscano in un modo o nell’altro, esplicitamente o implicitamente come hanno fatto tanti altri fino ad ora, per accettare il Concilio [Vaticano II] stipulando un accordo che metta da parte i problemi dottrinali o di fede. Sarebbe una cosa tragica, anche se di già ci sono dei difetti dottrinali gravi in queste società. L’altro rischio è il progetto di Benedetto XVI affermato più volte e che trapela anche dal “Motu proprio”. Egli dice da un lato che i due riti posso coesistere, e dall’altro si rende però conto di questa difficoltà: la coesistenza di due riti romani che poi esprimono due ecclesiologie e direi quasi due fedi diverse (abbiamo visto tanti occupanti di sedi vescovili dire: “Noi rifiutiamo questo ‘Motu proprio’”). Ebbene questa è la realtà, i due riti assieme non potranno stare, uno escluderà l’altro, uno ucciderà l’altro, perché uno è fatto per uccidere l’altro. Di questo Benedetto XVI si rende conto, come anche delle mille difficoltà pratiche. E allora cosa prospetta? Una riforma della riforma che ci dia un terzo rito, un nuovo rito futuro che sia un amalgama del rito tradizionale della Chiesa Romana e del rito inventato di sana pianta, e di pseudo-rinascita di antichi riti (di Ippolito, ecc.) che ci vengono fatti passare come riti della Chiesa antica, e cioè il Messale di Montini. Con questa fusione dei due riti, secondo Benedetto XVI avremo una riforma liturgica equilibrata che ci darà un nuovo Messale romano unico per tutti. Se questo progetto si realizzasse, ecco che questa morte del Messale tradizionale, quello di San Leone Magno, di San Gregorio Magno e poi di San Pio V, accadrebbe per fusione e non per soppressione. Questo tentativo di Paolo VI di distruggere la Messa riuscirebbe invece a Benedetto XVI facendone una fusione con il Messale riformato. Fin da subito, quindi, dobbiamo opporci al “Motu proprio”, anche per opporci a qualunque prospettiva di contaminazione tra i due riti, che già vuole mettersi in pratica. Noi invece vogliamo integralmente il Rito Romano. È ovvio poi che se ci saranno nuovi santi canonizzati da un legittimo Papa si inseriranno nel calendario (dei cambiamenti nelle rubriche ci sono sempre stati), ma non vogliamo che un rito nato per motivi di avvicinamento al Protestantesimo possa avere una influenza qualunque sul Rito della Chiesa, questo è inaccettabile.

Loro Ciuffenna, 7 agosto 2007.

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Note.

[3] Riguardo all’assistenza dei fedeli P. Guérard rimaneva in realtà ancora possibilista : «Può accadere che dei fedeli non abbiano praticamente altro mezzo di comunicare che assi­stendo ad una Messa una cum. Ora, se è possibile vivere e progredire nello stato di grazia senza comunicare, questa privazione non va esente da difficoltà e talvolta da pericoli. E, come la Chiesa ha sempre ammesso che in pericolo di morte si possa ricorrere ad un confessore anche scomunicato, non conviene forse di ricorrere ad una Messa una cum per partecipare al Sacrificio e comunicarvi? Pio XII l’ha ricordato con autorità: nella Chiesa militante, è la salvezza delle anime che costituisce la finalità delle finalità. L’assistenza alla “Messa una cum” può essere quindi oggetto di un “caso di Coscienza”. Ogni caso è un caso : e deve essere risolto in definitiva dalla coscienza dell’interessato, ma non senza i consigli e le direttive comunicati da un Sacerdote “non una cum“. Né rigorismo univoco, che non tiene conto della coscienza di ciascuno; né lassismo sentimentale: per esempio, una persona che può comunicare ogni quindici giorni ad una Messa “non una cum”, non ha alcuna ragione e NON DEVE QUINDI, nell’intervallo assistere ad una “Messa una cum”, ancor meno comunicarvi» (Il problema dell’Autorità e dell’espiscopato nella Chiesa [riedizione di: Sodalitium n° 13, Maggio 1987]) , CLS, Verrua Savoia 2005, p. 42). «Mons. Guérard sostiene che egli, in questa materia, esprime unicamente la sua opinione, ed ammette i buoni diritti dell’altra opinione, secondo cui non è lecito neanche per motivi pastorali (il desiderio dei Sacramenti) assistere e comunicare ad una “Messa una cum”» (Ib., nota 5 [al testo medesimo], pp. 55-56).

[4] «È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo «Ordo Missae» non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.
La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno.» (Concistorio segreto del Santo Padre Paolo VI per la nomina di venti cardinali, Lunedì, 24 Maggio 1976).

[5] Padre FRANÇOIS VON GUNTEN O.P., La validité des ordinations anglicanes, collana Fontes archivi Sancti Officii Romani, Olschki, Firenze 1997, con prefazione del card. Ratzinger. Cfr. Sodalitium, n° 40, anno XIV n. 6 1998, p. 62 e sgg. (on-line:http://www.sodalitium.it); Sodalitium n°58, anno XXI n. 2 2005, p. 41 e sgg. (on-line:http://www.sodalitium.it).

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